giovedì 15 luglio 2021

La più brutta

Si gira sempre la più brutta! – Le disse proprio così quel cretino.
Maria aveva tredici anni, il cuore pieno di emozioni gigantesche e il sogno di diventare splendida splendente infranto in tre secondi.

Era in compagnia di Stefania, la sua migliore amica, che aveva, come Maria, il cuore pieno di battiti
ma, a differenza di lei, un viso bellissimo. In quel periodo, indossava un baschetto bianco che ne
faceva risaltare ancora di più l'ovale perfetto. Quello di Maria proprio no. Aveva un viso a
palloncino, degli occhi grandi ma spenti, dei capelli corti, ispidi, strani, sembrava un maschio, anzi
“un maschio sbagliato”, come le diceva sua mamma.

Camminavano per il viale. Con loro era anche la sorella di Stefania, Carla, più piccola di un anno,
pure lei bellina e secca secca come un chiodo. Vabbè pure Stefania era magra, con delle gambette
sottili, in perfetto contrasto con la struttura robusta di Maria. Eh già, Maria, ancora oggi è così
anche tutti le dicono che è magra. Lo dicono gli altri, però: lei non lo pensa affatto.

Insomma, dov'eravamo rimasti? Ah sì…stavano facendo una passeggiata. Era domenica mattina.

Dopo la messa delle dieci e trenta, su, alla chiesa dei frati, scendevano fino in piazza per risalire
lungo il Viale dei Pini ed arrivare di nuovo nei pressi della chiesa. Lì le loro strade si dividevano per
tornare ciascuna a casa sua. All'altezza della caserma dei vigili del fuoco, sbucò un gruppetto di
ragazzini, forse un po’ più grandi di loro, che cominciò a seguirle.

– Ue’, belle, dove andate? Dai, fermatevi, fermatevi con noi! Su, forza! – Cominciò a sbraitare uno
di loro, il più guappo e, via, risatine, battutine sciocche, parolacce, come solo i maschi…anzi no,
come solo gli esseri umani sanno fare quando sono in branco e si sentono forti, così forti che
possono arrivare a schiacciare gli altri. Per gli animali non è così: per loro il branco serve a
proteggere, non ad offendere, è come una specie di famiglia.

Continuarono per tutto un tratto di strada. Le ragazze, imbarazzate, provarono a far finta di nulla, a chiacchierare del più e del meno, delle vacanze di Natale che finalmente avrebbero avuto di lì a poco. 

– Però, che scemi questi! – Sussurrò Stefania.

A quel punto Maria non ci vide più. Si girò verso di loro con un’espressione torva e li guardò, anzi lo guardò, il capobranco, dritto negli occhi, con i suoi occhi grandi ma spenti. E lì il guappo, ridacchiando, se ne uscì con quella espressione infame. Maria cercò di darsi un contegno, imbarazzata come non mai, colpita nel più profondo del suo inconscio, una coltellata all’autostima già minata di una ragazzetta.

– Ecco, lo sapevo! – Pensò tra sé e sé – È vero sono un rospo, un cesso, una cozza, ho un carattere di merda, non so mai cosa dire, sono grassa, brutta, nessuno mi amerà mai, nessuno mi bacerà mai. 

Sommersa dal turbinio delle sue brutture, Maria non disse più nulla, e rimuginò, rimuginò e ancora
rimuginò su quelle parole. E tornò a casa e affrontò svogliatamente il pranzo della domenica, il
dolce della domenica, il ritorno a scuola il giorno dopo e l’interrogazione di latino il giorno dopo
ancora. Niente. È come se dentro di sé si fosse spezzato qualcosa.

Maria da allora smise di uscire con le sue amiche, smise di parlare, di mangiare, di studiare, di
guardare la televisione, smise anche le cose più banali. Tutto questo quanto durò? Mah forse solo
qualche giorno o fino alla primavera successiva. Poi la crisi passò, come tutte le stranezze di
quell'età infame. E così passarono anni e anni, nel corso dei quali Maria sperimentò rifiuti, amicizie,
amori, tradimenti, la vita, la sua vita, con molte fragilità e poche sicurezze.

Una vita, la sua, trascorsa continuamente alla ricerca di conferme. – Sto facendo bene? Come sto?
Troppo grassa con questi pantaloni? Oddio quante rughe, vero? Li faccio ricci o lisci i capelli? Che
dici, li taglio un po’? –

Gli interlocutori variano a seconda del contesto in cui si muove: compagno, figli, amiche,
capufficio, colleghi. Alla fine, loro ci godono pure un po' di tutte le sue fragilità: sono il suo tallone
d’Achille, il suo fianco scoperto.

Tutto questo fino a una domenica mattina di cinque anni fa. Era una giornata splendida di
settembre. Maria era ai giardini con il suo cane, vicino ai campi da tennis, su quel viale di tanti anni
prima. Un bel tipo alto, robusto, sportivo venne verso di lei con una pallina da tennis in mano e
disse:

– Questa la regalo alla più bella. –

E Maria, si guarda intorno, realizza che il tipo ce l’ha proprio con lei, ringrazia, sorride e pensa:
– Non m'importa proprio nulla di quello che gli altri vedono di me. Io sono così. Se vi piaccio o no
non è un mio problema. –

Poi prende la pallina e la lancia al suo cane che, felice, l'afferra al volo.

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